La Costituzione è la fonte di tutte le garanzie
di Sergio Lariccia

 


L’ordinanza con la quale, in applicazione dell’art. 700 del codice di procedura civile, il tribunale di L’Aquila, in data 22 ottobre 2003, ha deciso la rimozione del crocefisso dalle aule di un istituto scolastico di Ofena, merita di essere commentata considerando anche i toni della polemica politica e giornalistica scaturita dalla vicenda.
Nel commentare la decisione, molti non hanno tenuto conto di quali sono i compiti spettanti ai giudici italiani nell’attuale periodo storico (il futuro si presenta invece assai incerto). Con riferimento a tali reazioni occorre ricordare la sorprendente e direi preoccupante esternazione televisiva del presidente della repubblica, che è anche il presidente del consiglio superiore della magistratura, il quale, ritenendo evidentemente errata la decisione del giudice, ne ha auspicato la riforma, in base ad un ragionamento che, come ha osservato Andrea Guazzarotti (nel Forum di Quaderni costituzionali), «sembra affidarsi allo “spirito del popolo”, piuttosto che al dettato normativo – anche costituzionale - vigente». I giudici non possono certo limitarsi, come taluni pretenderebbero, ad applicare il diritto, giacché essi hanno anche il compito di interpretare le disposizioni normative: per fortuna non è stata finora approvata dal parlamento una delle più gravi e pericolose proposte di riforma della giustizia, consistente nel sottoporre a sindacato politico la funzione affidata ai giudici di interpretare le norme prima di emettere le loro pronunce.
Qualche considerazione merita, innanzi tutto, la questione relativa alla natura del provvedimento emesso dal giudice, che si è espresso mediante un’ordinanza e non una sentenza (inesattamente si è invece assai spesso parlato di una «sentenza che ordina la rimozione del crocifisso»): si tratta di un provvedimento di urgenza e non di una sentenza definitiva, una decisione dunque che nel merito deve essere ancora approfondita; non è un atto definitivo e nulla impedisce che un’ordinanza urgente di accoglimento del ricorso si trasformi in una sentenza di rigetto. L’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 700 c. p. c., in particolare, è un provvedimento giurisdizionale con il quale «chi ha fondato motivo di temere che durante il tempo occorrente per far valere il suo diritto in via ordinaria, questo sia minacciato da un pregiudizio imminente e irreparabile» può chiedere al giudice provvedimenti d’urgenza «più idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito». Prima di pronunciarsi il giudice deve verificare il fumus boni juris e il periculum in mora, due requisiti che il giudice, con ampia motivazione, ha ritenuto sussistenti nella specie, sul fondamento di considerazioni che mi sembrano condivisibili. Con riferimento al requisito del fumus, il giudice ha ritenuto che sussiste un diritto inviolabile e costituzionalmente garantito in capo ai ricorrenti e che tutte le disposizioni successive agli atti normativi con i quali venne stabilita la presenza del crocefisso nelle aule scolastiche e venne previsto l’obbligo del preside di provvedere perché tale simbolo figurasse in ogni aula, smentiscono e di fatto aboliscono la «logica della confessione cattolica come istituzione religiosa privilegiata», ponendo tutte le religioni sullo stesso piano di tutela. Per quanto riguarda il requisito del periculum in mora, il giudice ha ritenuto, a mio avviso giustamente, che la circostanza di fatto dell’esposizione del crocefisso è di per sé sufficiente per ritenere la sussistenza dell’imminenza del pregiudizio.
Augusto Barbera, un collega noto per la sua competenza e per il suo equilibrio, ha osservato, in un’intervista rilasciata al Corriere della sera del 26 ottobre 2003, che, poiché l’esposizione del crocefisso è prevista da atti aventi forza di legge e da norme tuttora in vigore, il giudice non poteva disattenderli ed avrebbe dovuto inviare gli atti alla corte costituzionale e cioè al giudice naturale sulla costituzionalità delle leggi. Non penso di potere condividere tale punto di vista, e tuttavia l’obiezione merita un’attenta considerazione.
Come avviene sempre più spesso, in un ordinamento come quello italiano caratterizzato da una grande varietà e frammentarietà di disposizioni legislative, che si sono succedute nel tempo nei tre periodi storici del liberalismo, del fascismo e dell’Italia repubblicana e democratica, in molti casi è assai difficile individuare con esattezza da quali disposizioni sia disciplinata una determinata fattispecie. Eppure si tratta di un compito che ogni giudice deve svolgere con scrupolosa completezza per evitare che le sue pronunce siano fondate su un’errata interpretazione del diritto.
Dopo che, nel 1857, una circolare aveva previsto la presenza del crocefisso nelle scuole con riferimento alla legge 22 giugno 1857, n. 2328 (c. d. legge Lanza), l’apposizione del crocefisso nelle aule scolastiche venne prevista dalla circolare del ministero della pubblica istruzione 22 novembre 1922, che precede di due anni la riforma Gentile realizzata con l’approvazione del r. d. 1° ottobre 1923, n. 2185. Dopo la riforma Gentile, due sono le disposizioni che, nel ventennio fascista, prevedono la presenza del crocefisso nelle aule scolastiche: l’art. 118 r. d. 30 aprile 1924, n. 965 sull’Ordinamento interno delle giunte e degli istituti di istruzione media («Ogni istituto ha la bandiera nazionale; ogni aula l’immagine del Crocefisso») e l’art. 10 e allegato C al r. d. 26 aprile 1928, n. 1297, di approvazione del regolamento generale sui servizi dell’istruzione elementare.
Si trattava di atti normativi di natura regolamentare che il giudice non avrebbe potuto impugnare davanti alla corte costituzionale, considerando che alla corte costituzionale, in base all’art. 134 della costituzione, che si riferisce a “leggi ed atti aventi forza di legge”, è istituzionalmente sottratto il sindacato sui regolamenti. Sulla natura di norme regolamentari delle norme in questione avevano convenuto il consiglio di stato, che, nel parere della III sezione del 27 aprile 1988, n. 63, aveva ritenuto non abrogate le citate disposizioni di natura regolamentare, la corte di cassazione, con la sentenza della IV sezione penale 1° marzo 2000, n. 439, con la quale si è deciso che la rimozione del simbolo del crocefisso da ogni seggio elettorale si muovesse nel solco tracciato dalla giurisprudenza costituzionale in termini di laicità e di pluralismo, e la stessa avvocatura dello stato, nel corso del giudizio davanti al tribunale di L’Aquila, la quale ha sostenuto la perdurante vigenza della disciplina normativa in questione, ma non ha affatto contestato la natura regolamentare della medesima.
Sottratti al controllo della corte costituzionale, i regolamenti sono sottoposti al regime degli atti amministrativi: essi sono dunque disapplicabili dal giudice ordinario qualora risultino in contrasto con norme di fonte legislativa.
Più complesso, come ha giustamente osservato Giovanni Cimbalo in un interessante commento dedicato all’ordinanza (nel Forum cit.), si presenta il problema di valutare se una norma di legge ordinaria sussistesse, in tema di affissione dei crocefissi nelle aule scolastiche, dopo l’approvazione della legge 28 luglio 1967, n. 641, il cui art. 30 disciplinava la materia dei Sussidi per l’arredamento di scuole elementari e medie, e dopo l’emissione della circolare 19 ottobre 1967, n. 361, che, nell’allegato B, richiamando gli artt. 120 e 121 del già ricordato r. d. n. 1297 del 1928 e l’art. 30 della legge n. 641 del 1967, stabiliva le formalità per la richiesta di contributi, da compilarsi a cura dei comuni, per provvedere alla fornitura dell’arredo scolastico e, come primo arredo, considerava proprio il crocefisso. In questa materia vi è stata tuttavia una successiva legislazione che induce a ritenere abrogata la precedente normativa (legge e circolare) del 1967: in particolare vanno considerati la legge 23 dicembre 1991, n. 430 e il d. lgs. 16 aprile 1994, n. 297, di approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado, che, negli articoli riguardanti l’arredo scolastico - art. 2 della legge n. 430 del 1991 e artt. 107 (scuole materne), 159 (scuole elementari) e 190 (scuole medie) del d. lgs. n. 297 del 1994 - non fanno alcuna menzione del crocefisso come arredo. Così l’art. 159 d. lgs. n. 297 del 1994 stabilisce che «Spetta ai comuni provvedere [ … ] alle spese necessarie per l’acquisto, la manutenzione, il rinnovamento del materiale didattico, degli arredi scolastici, ivi compresi gli armadi o scaffali per le biblioteche scolastiche, degli attrezzi ginnici [ … ]». L’art. 676 del testo unico, con riferimento alla materia scolastica regolata in precedenza, stabilisce: «Le disposizioni inserite nel presente testo unico vigono nella formulazione da esso risultante; quelle non inserite restano ferme ad eccezione delle disposizioni contrarie od incompatibili con il testo unico stesso, che sono abrogate» [il corsivo è mio].
Questa disposizione, il cui significato a me sembra chiaro, determina l’abrogazione della disciplina che in precedenza prevedeva la presenza del crocefisso nelle aule scolastiche. La disciplina legislativa del 1994, che contiene tutte «le disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione», si pone in una prospettiva completamente diversa rispetto a quella che negli anni precedenti, e quindi anche nella legislazione (legge e circolare) del 1967, aveva indotto il legislatore a prevedere l’obbligatoria presenza del crocefisso nelle aule scolastiche. Il discorso potrebbe essere assai lungo ed è qui consentito soltanto fare un rapido cenno. L’art. 1 d. lgs n. 297 del 1994, la cui rubrica non a caso ha come titolo Formazione e personalità degli alunni e libertà di insegnamento, esplicitamente afferma la finalità di «promuovere, attraverso un confronto aperto di posizioni culturali, la piena formazione della personalità degli alunni»; l’art. 2 (Tutela della libertà di coscienza degli alunni [ … ] nel n. 1 prevede che «L’azione di promozione di cui all’articolo 1 è attuata nel rispetto della coscienza morale e civile degli alunni»; l’art. 118, a proposito delle finalità della scuola elementare, stabilisce che «La scuola elementare [ … ] concorre alla formazione dell’uomo e del cittadino secondo i principi sanciti dalla Costituzione e nel rispetto e nella valorizzazione delle diversità individuali, sociali e culturali. Essa si propone lo sviluppo della personalità del fanciullo promuovendone la prima alfabetizzazione culturale»; l’art. 309, a proposito dell’insegnamento della religione cattolica, stabilisce che nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado l’insegnamento della religione cattolica è disciplinato dall’accordo tra la Repubblica italiana e la Santa Sede e relativo protocollo addizionale [ … ]»; l’art. 311 fonda sul diritto di garantire «la libertà di coscienza di tutti» il diritto degli alunni delle scuole pubbliche non universitarie di avvalersi o di non avvalersi di insegnamenti religiosi.
I principi vigenti in materia scolastica dopo l’approvazione del d. lgs n. 297 del 1994 sono coerenti con le disposizioni costituzionali, che sono espressamente richiamate nel testo, e modificano il quadro legislativo vigente in precedenza; in particolare, il richiamo alla disposizione contenuta nell’art. 1 del protocollo addizionale, che esplicitamente abroga il principio della religione cattolica come sola religione dello stato, deve indurre a ritenere abrogate le disposizioni sull’affissione obbligatoria del crocefisso.
Giustamente si osserva nell’ordinanza che l’oggetto del ricorso riguarda la questione della laicità delle istituzioni: affermazione che assume grande importanza nella specie in quanto, se non è in questione soltanto la libertà di religione degli alunni, ma anche la neutralità di un’istituzione pubblica, non è possibile prospettare una realizzazione del principio di laicità dello stato e della libertà di religione dei consociati “a richiesta”, rendendosi invece necessaria una soluzione che sia connaturata all’operare stesso dell’amministrazione pubblica.
Il pluralismo religioso e culturale, sulla cui importanza nel sistema costituzionale possono leggersi le sentenze della corte costituzionale 12 aprile 1989, n. 203 e 14 gennaio 1991, n. 13, può realizzarsi soltanto se l’istituzione scolastica rimane imparziale di fronte al fenomeno religioso. L’imparzialità dell’istituzione scolastica pubblica di fronte al fenomeno religioso deve realizzarsi attraverso la mancata esposizione di simboli religiosi piuttosto che attraverso l’affissione di una pluralità di simboli, che – si osserva giustamente nell’ordinanza – non potrebbe in concreto essere tendenzialmente esaustiva e comunque finirebbe per ledere la libertà religiosa negativa di coloro che non hanno alcun credo.
Pluralismo religioso e culturale, libertà di coscienza e di religione per tutti, eguaglianza dei cittadini davanti alla legge, eguale libertà delle confessioni religiose, imparzialità dei poteri pubblici di fronte al fenomeno religioso, laicità delle istituzioni civili: sono questi i principi sui quali è fondata la decisione emessa del giudice nell’ordinanza riguardante la rimozione del crocefisso dalle aule scolastiche. L’opinione che, in conclusione, vorrei qui esprimere riguarda la necessità di ribadire la supremazia del diritto, quello che nel mondo anglosassone si definisce the rule of Law: senza il diritto non c’è libertà ma arbitrio; e sempre più si afferma l’esigenza che la costituzione, con le sue disposizioni, i suoi principi consolidati e i suoi valori, sia fonte di garanzia per tutti. Fa piacere che un giudice lo abbia ritenuto un principio irrinunciabile per la democrazia e la giustizia nel nostro paese.

Roma, 19 novembre 2003

 
   
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